a cura di Alba Di Rosa, economista - 26 aprile 2024

Allargamento dei paesi BRICS: quali impatti?

L’acronimo BRIC, diffuso da oltre un ventennio, nasce nel 2001 da Jim O’Neill di Goldman Sachs: la sigla stava ad indicare il gruppo di paesi emergenti – Brasile, Russia, India, Cina – per i quali si prevedeva un ruolo chiave per l’economia mondiale nei decenni a seguire.

All’inizio degli anni 2000 si è sviluppato un progressivo dialogo e confronto tra i paesi, tanto da andare a definire un gruppo informale sullo scenario internazionale. Nel 2006, su iniziativa della Russia, i ministri degli esteri dei BRIC hanno infatti iniziato a tenere riunioni annuali a margine degli incontri dell'Assemblea generale ONU a New York; è nel 2009 che la Russia ha poi organizzato un primo vertice, che ha ufficialmente dato la luce al gruppo, pur senza arrivare alla formalizzazione di questa unione tramite un accordo o la nascita di una vera e propria organizzazione. Nel successivo vertice del 2010, i leader dei BRIC hanno inserito anche il Sudafrica nel gruppo, cambiando il nome in “BRICS” per rispecchiarne l’adesione.

È stato al vertice del 2023 che, per la prima volta dopo 13 anni, i BRICS hanno imboccato una nuova espansione, invitando anche Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Etiopia, Iran e Argentina a partecipare. Soltanto quest’ultima, con il passaggio al potere di Milei a fine 2023, ha declinato l’invito, a fronte invece di un annuncio dell’ingresso a partire dal 2024 per gli altri cinque paesi. La notizia dell’allargamento a “BRICS+” ha inevitabilmente attirato l’attenzione degli osservatori, in merito ai possibili impatti dell’allargamento della loro sfera di influenza sugli equilibri internazionali.

Da BRICS a BRICS+: popolazione ed economia
 

Partiamo allora dai numeri del nuovo scenario. Vantando tra i suoi fondatori i due paesi più popolosi al mondo, già prima dell’allargamento i BRICS includevano oltre il 40% della popolazione mondiale; la quota è salita al 46% con l’ampliamento a BRICS+, a fronte di un 10% per i paesi del G7 (include USA, Canada, Giappone, Germania, Francia, Italia e Gran Bretagna), secondo i dati ONU per il 2020. In salita anche la quota di PIL mondiale (considerato a parità di potere d’acquisto) prodotto dai paesi del gruppo, che risulta al momento pari al 36% secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale per il 2023, rispetto al 30% dei paesi del G7. Come si nota nel grafico di seguito riportato, si prevede che tale tendenza possa imboccare un’ulteriore biforcazione nei prossimi anni, in relazione a tassi di crescita più dinamici per le economie dei paesi emergenti rispetto a quelle dei paesi sviluppati.

 

                                                                                      Fonte: Fondo Monetario Internazionale

I numeri confermano quindi come la recente espansione abbia ampliato la portata tanto economica che politica dei BRICS su scala globale - espansione che abbraccia l’evidente obiettivo del “Global South” di ottenere uno spazio sempre maggiore sulla scena internazionale, nonché di coltivare crescenti spazi di collaborazione tra i paesi membri.

Focus commercio estero

Guardiamo ora al quadro del commercio internazionale: l’ingresso di nuovi membri ha alterato lo scacchiere delle potenzialità dell’export del gruppo?
Confrontando le esportazioni 2023 di BRICS e BRICS+ per categorie merceologiche, l’ampliamento più significativo con il passaggio ai BRICS+ si nota sul fronte delle materie prime, in relazione alle specializzazioni produttive dei nuovi paesi membri.
Guardiamo ad esempio al caso dell’Egitto, le cui esportazioni si sono concentrate lo scorso anno per oltre il 15% sulle materie prime energetiche (gas naturale e petrolio), e per oltre il 5% sull’acciaio. L’Etiopia si dedica invece all’export di materie prime coloniali e metalli preziosi: parliamo in particolare di caffè in grani, non torrefatto (oltre il 30% del totale esportato dal paese nel 2023) e oro greggio, in polvere (oltre il 25%). L’Iran esporta soprattutto prodotti petroliferi e derivati del carbone (15% del totale esportato nel 2023), ma anche materie plastiche in forme primarie (11.5%), acciaio (9.8%) e rame (8.2%). Come ben noto, l’Arabia Saudita si concentra invece sulle esportazioni di petrolio greggio (oltre il 50% del totale esportato nel 2023) e benzine per motori (18.7%), così come gli Emirati Arabi.

 

Export dei paesi BRICS vs BRICS+ per categoria merceologica
(miliardi di EUR, 2023)

Fonte: Elaborazioni StudiaBo su dati ExportPlanning

L’entrata dei nuovi paesi nel gruppo BRICS+ sembrerebbe quindi andare  verso il rafforzamento dei legami tra i maggiori paesi produttori e consumatori di materie prime critiche come il petrolio, contribuendo a garantire, dal punto di vista dei consumatori, l’afflusso di commodity anche in uno scenario internazionale incerto.

Guardando invece al quadro degli scambi commerciali con i BRICS+ dal punto di vista dei paesi UE, tanto per l’import che per l’export non emerge un ruolo determinante del gruppo per l’Unione: nel 2023, oltre il 60% delle importazioni UE di beni sono infatti venute dal suo interno, l’11.6% dall’area BRICS+ e il 27.4% dal resto del mondo; scenario simile sul fronte delle esportazioni UE, che per il 60% si sono dirette all’interno dell’Unione, per il 7% verso i BRICS+ e il 32% verso il resto del mondo.
Nello specifico dell’interscambio con il gruppo BRICS+, rimangono in ogni caso i cinque paesi fondatori a ricoprire un ruolo di maggiore rilievo negli scambi con l’Unione, a fronte di un contributo minoritario da parte dei nuovi entrati. Ponendo pari a 100 le esportazioni UE 2023 verso i BRICS+, il 20% si sono infatti dirette verso i nuovi paesi membri, a fronte del restante 80% verso Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa; sul fronte delle importazioni UE, la quota proveniente dai nuovi membri BRICS+ scende invece al 9%, a fronte di un restante 91% proveniente dai membri fondatori.
 

                                                                              Fonte: Elaborazioni StudiaBo su dati ExportPlanning

Ulteriore elemento da segnalare sul fronte del commercio estero è quello dell’interscambio nell’area BRICS+: infatti, secondo i dati ExportPlanning, se nel 2023 la quota di interscambio interno al G7 sul totale del suo interscambio col mondo è stata del 19.6%, per il gruppo BRICS+ tale quota è stata pari al 12.5%. Anche questi numeri vanno quindi a confermare l’idea di un’unione che al momento risulta più di carattere politico che operativo, votata ad accrescere il proprio peso su scala internazionale, promuovere partnership strategiche ed un multilateralismo inclusivo, in un contesto che risulta però ancora caratterizzato da significativa eterogeneità: trattasi infatti di un gruppo che differisce tanto dal punto di vista della specializzazione produttiva che dello sviluppo economico, come si nota ad esempio dai numeri del PIL pro capite dei diversi paesi membri.

 

                                                                                         Fonte: Fondo Monetario Internazionale

Dal canto suo, l’Europa non sta portando avanti relazioni formali con il gruppo BRICS+ nel suo complesso, in relazione alle significative differenze tanto tra i paesi del gruppo, che tra il tono delle rispettive relazioni politiche bilaterali. Ciononostante, con alcuni di questi paesi sono in atto da anni accordi bilaterali di libero scambio. Si pensi ad esempio all’Association Agreement con l’Egitto, in vigore dal 2004, e all’accordo di partnership economica con la Southern African Development Community, di cui fa parte il Sudafrica. Sono inoltre recentemente riparte le negoziazioni di accordi con l’India (2022) e sono in corso negoziazioni con l’area Mercosur, di cui il Brasile è membro, che hanno portato al raggiungimento di un “agreement in principle” nel 2019. In un contesto di distanze ancora significative, tanto geografiche che culturali, emergono quindi segnali di dialogo e prospettive di collaborazione.

 

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